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Obbligo di vigilanza ambientale: nuove responsabilità per imprenditori e imprese dopo il DL “Terra dei Fuochi”

Obbligo di vigilanza ambientale

Dal 9 agosto 2025 la gestione dei rifiuti in Italia ha cambiato volto. Con l’entrata in vigore del Decreto-Legge 116/2025, ribattezzato “Terra dei Fuochi”, il legislatore ha introdotto una vera e propria svolta nel diritto penale ambientale.
Molti reati legati ai rifiuti – dall’abbandono alla gestione illecita fino alla discarica abusiva – sono stati trasformati in delitti, con pene più severe e nuove aggravanti per le imprese. Ma la novità più significativa è senza dubbio l’obbligo di vigilanza: un principio che fino a poco tempo fa aveva un’applicazione circoscritta e che oggi diventa generale, con conseguenze dirette per titolari d’impresa e dirigenti.

Contenuti

Il Decreto-Legge 116/2025: una svolta nella gestione dei rifiuti

Il nuovo decreto, entrato in vigore il 9 agosto 2025, ha l’obiettivo dichiarato di rafforzare il contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti. Si tratta di una riforma che innalza il livello di severità del sistema penale e introduce misure che avranno un impatto concreto sulla vita delle imprese.

Il decreto è in vigore ed è in fase di conversione: alcune disposizioni potranno subire modifiche o chiarimenti interpretativi.

Tra le novità più rilevanti troviamo:

  • la trasformazione in delitti di reati prima considerati contravvenzionali, come l’abbandono di rifiuti, la gestione non autorizzata, le discariche abusive, la combustione e la spedizione illegale;
  • pene più pesanti, che possono arrivare fino a sei anni e mezzo di reclusione nei casi più gravi, con un aggravio automatico quando il reato viene commesso nell’ambito di un’attività d’impresa;
  • sanzioni accessorie capaci di incidere in maniera decisiva sull’operatività aziendale, come la confisca di mezzi e aree, la sospensione della patente per chi utilizza veicoli in abbandoni illeciti e l’interdizione dall’attività per le imprese coinvolte;
  • un allineamento alle direttive europee, in particolare alla Direttiva UE 2024/1203 sulla tutela penale dell’ambiente, che chiede agli Stati membri un rafforzamento del sistema sanzionatorio.

Chi sono i soggetti coinvolti

L’obbligo di vigilanza non riguarda soltanto i grandi impianti di trattamento rifiuti, ma interessa un’ampia platea di soggetti.
In primo luogo ci sono gli imprenditori e i titolari di impresa, che restano i primi responsabili in caso di violazioni commesse da dipendenti o collaboratori. Accanto a loro sono chiamati in causa anche gli organi di vertice e i dirigenti, come amministratori, direttori generali, responsabili di stabilimento, HSE manager, RSPP e responsabili ambientali: figure che hanno il compito di orientare e controllare la gestione operativa.

Un ruolo delicato spetta anche a consulenti esterni e delegati interni. La legge, infatti, non ammette più zone grigie: chi riceve una delega operativa o fornisce consulenza in materia ambientale deve poter dimostrare di aver agito con criteri di responsabilità e tracciabilità.

Particolarmente esposte sono le imprese che operano in settori a rischio elevato: produzione, trasporto, stoccaggio e trattamento rifiuti, edilizia, manifattura, industria e logistica, senza dimenticare le aziende di autotrasporto iscritte all’Albo Gestori Ambientali.

Infine, non vanno escluse le PMI che producono rifiuti in modo marginale, come officine, laboratori o uffici: anche in questi casi la normativa richiede procedure corrette di gestione e tracciabilità. In altre parole, nessuna impresa può considerarsi estranea: l’obbligo di vigilanza è trasversale e investe l’intero mondo produttivo.

Obbligo di vigilanza: dall’eccezione alla regola

Prima della riforma, l’obbligo di vigilanza esisteva solo per un reato specifico: la combustione illecita di rifiuti, cioè l’incendio doloso o colposo di materiali abbandonati o depositati irregolarmente. L’imprenditore o il responsabile di un’attività rispondeva solo se non aveva impedito che i propri dipendenti appiccassero il fuoco a tali rifiuti.

Con il Decreto “Terra dei Fuochi”, questo principio diventa generale e si estende a diverse fattispecie penali che riguardano la gestione dei rifiuti. In concreto, oggi l’obbligo di vigilanza ricade sull’imprenditore ogni volta che un soggetto riconducibile all’impresa commette uno dei seguenti delitti:

  • Gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256 TUA): attività di raccolta, trasporto, recupero o smaltimento svolte senza titolo abilitativo.
  • Discarica abusiva (art. 256, co. 3 TUA): realizzazione o gestione di aree di conferimento non autorizzate.
  • Combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis TUA): il reato già esistente, oggi incluso nel nuovo quadro.
  • Spedizione illegale di rifiuti (art. 259 TUA, già “traffico illecito”): movimentazioni transfrontaliere in violazione della normativa europea.
  • Abbandono di rifiuti in casi particolari (nuovi artt. 255-bis e 255-ter): quando l’abbandono o il deposito incontrollato causano pericolo per la salute, l’ambiente o riguardano rifiuti pericolosi.

Il significato pratico è chiaro: non basta più limitarsi a dichiararsi estranei o inconsapevoli. La legge impone ai titolari e ai dirigenti di organizzare l’attività in modo tale da prevenire e intercettare eventuali condotte illecite lungo tutta la filiera della gestione dei rifiuti.

La responsabilità per omessa vigilanza

L’estensione dell’obbligo di vigilanza a più reati ambientali segna un passaggio decisivo: oggi l’imprenditore non è chiamato a rispondere soltanto se commette in prima persona un illecito, ma anche se non ha fatto abbastanza per impedire che i propri collaboratori commettano delitti come la gestione non autorizzata, la discarica abusiva, la combustione illecita, la spedizione illegale o l’abbandono di rifiuti pericolosi.

Nasce così un vero e proprio reato autonomo di omessa vigilanza. In sostanza, non basta più dire “non sapevo” o “non potevo controllare tutto”: la legge pretende che il titolare o il dirigente dimostrino di aver predisposto un sistema di organizzazione e controllo adeguato a prevenire violazioni. Questo comprende procedure interne, formazione del personale, verifiche periodiche e strumenti di tracciabilità.

Un punto delicato riguarda la delega di funzioni. La normativa ammette che l’imprenditore possa affidare compiti specifici a un delegato, ma questa scelta non lo libera dalle sue responsabilità. Resta infatti un obbligo di alta vigilanza: chi delega deve comunque verificare che il delegato svolga correttamente il suo ruolo e interviene se emergono segnali di irregolarità. In assenza di questa supervisione, la responsabilità torna a ricadere sul vertice aziendale.

In pratica, la riforma sposta l’attenzione dal singolo episodio illecito alla qualità dell’organizzazione aziendale: un’impresa che non adotta sistemi di prevenzione e controllo efficaci rischia di vedere il proprio titolare imputato non solo per ciò che è accaduto, ma per non aver creato le condizioni per evitarlo.

Le sanzioni: conseguenze per imprenditori e imprese

Il nuovo sistema sanzionatorio introdotto dal Decreto “Terra dei Fuochi” è particolarmente severo e colpisce sia le persone fisiche sia le imprese, seguendo un doppio binario che amplifica il livello di rischio.

Le persone fisiche: imprenditori e dirigenti sotto accusa

Per chi riveste ruoli di vertice – titolari, amministratori, dirigenti o responsabili ambientali – la riforma introduce il reato autonomo di omessa vigilanza. In pratica, se un dipendente o un collaboratore commette un illecito ambientale, il titolare può essere chiamato a rispondere penalmente non per ciò che ha fatto in prima persona, ma per non aver predisposto controlli e procedure adeguate.
Le pene sono commisurate alla gravità del reato commesso dal sottoposto e, nei casi più seri, possono arrivare a diversi anni di reclusione. A questo si aggiungono le sanzioni interdittive, che hanno un impatto diretto sull’attività quotidiana dell’imprenditore: divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, sospensione o revoca di autorizzazioni e licenze, esclusione da finanziamenti e contributi già concessi. In altre parole, anche senza una condanna definitiva, l’imprenditore rischia di vedere compromessa la possibilità stessa di continuare a operare sul mercato.

Le imprese: la responsabilità ex D.lgs. 231/2001

Parallelamente, la riforma rafforza la responsabilità delle società e degli enti. Se il reato ambientale è commesso nell’interesse o a vantaggio dell’impresa – e la giurisprudenza ha interpretato il “vantaggio” in senso molto ampio, includendo anche un semplice risparmio di costi – scatta la responsabilità diretta dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/2001.
Le conseguenze sono pesanti: le sanzioni pecuniarie sono state aumentate e, per diversi reati, quasi raddoppiate rispetto al passato. Inoltre, la riforma amplia il ricorso alle sanzioni interdittive, che possono arrivare fino a un anno di durata e includono la sospensione delle attività, l’interdizione dai rapporti con la Pubblica Amministrazione, il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Nei casi più gravi, quando l’impresa viene considerata strumentale alla commissione di reati, la legge prevede persino l’interdizione definitiva dall’attività, cioè la chiusura forzata dell’azienda.

Un rischio aggiuntivo per le imprese di autotrasporto

Un’attenzione particolare va rivolta alle imprese di autotrasporto per conto terzi, che risultano tra le più esposte dopo la riforma.
Se un loro dipendente o collaboratore commette uno dei nuovi delitti ambientali – ad esempio l’abbandono di rifiuti o la gestione non autorizzata – l’azienda rischia non solo le sanzioni penali e amministrative comuni a tutte le imprese, ma anche provvedimenti specifici legati alla propria attività.

In particolare, se l’impresa opera senza la necessaria iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, viene applicata la sospensione dall’Albo degli autotrasportatori di cose per conto terzi, con una durata che può andare da quindici giorni a due mesi. Nei casi di recidiva, la sanzione diventa ancora più grave: la cancellazione dall’Albo, con divieto di reiscrizione per almeno due anni.

Si tratta di misure che, di fatto, possono paralizzare l’attività dell’azienda, privandola della possibilità di esercitare il proprio lavoro principale. Per questo motivo il settore dell’autotrasporto deve prestare particolare attenzione all’adeguamento normativo, investendo in procedure di controllo interne e in formazione specifica per conducenti e personale operativo.

Il ruolo della compliance: il MOGC come strumento di difesa

In questo contesto, il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOGC) previsto dal D.lgs. 231/2001 diventa uno strumento imprescindibile.
Un MOGC aggiornato e applicato correttamente rappresenta infatti l’unico vero scudo che può ridurre o escludere la responsabilità dell’ente.
Non si tratta di un documento formale, ma di un sistema che deve garantire: tracciabilità delle operazioni, formazione del personale, controlli periodici, procedure di verifica e un Organismo di Vigilanza attivo. Solo così un’impresa può dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prevenire i reati ambientali.

Un cambio di prospettiva per gli imprenditori

La riforma del 2025 non è l’ennesimo ritocco normativo, ma un cambio di prospettiva: la gestione dei rifiuti non è più un adempimento burocratico, ma un ambito strategico di compliance.
Per imprenditori e manager questo significa che ignorare le nuove regole o affrontarle in maniera superficiale equivale a esporsi a conseguenze potenzialmente devastanti, sia sul piano personale che per la sopravvivenza stessa dell’azienda.

Cosa devono fare le imprese

Di fronte a questo scenario, le imprese sono chiamate a rafforzare il proprio sistema di gestione ambientale e ad adottare strumenti di compliance strutturata. In particolare, diventa essenziale:

  • aggiornare le procedure interne di gestione dei rifiuti, garantendo tracciabilità e conformità normativa in ogni fase;
  • effettuare audit ambientali periodici, per verificare eventuali criticità e correggerle prima che possano trasformarsi in violazioni;
  • rivedere e aggiornare il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOGC), integrando le novità introdotte dal DL 116/2025;
  • formare il personale e i dirigenti sulla responsabilità penale ambientale, così da diffondere consapevolezza e ridurre i comportamenti a rischio;
  • monitorare costantemente i processi di tracciabilità, adottando sistemi digitali e strumenti di controllo che rendano trasparenti tutte le operazioni.

Questi passaggi non rappresentano solo un obbligo imposto dalla legge, ma costituiscono un investimento in sicurezza, continuità aziendale e reputazione.

Per chi desidera consultare il testo ufficiale: Decreto-Legge 8 agosto 2025, n. 116 – Gazzetta Ufficiale

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