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Obblighi e opportunità legati alla rendicontazione ESG e alla CSRD: cosa cambia per le imprese italiane nel 2025

rendicontazione ESG e CSRD

Negli ultimi anni le imprese italiane hanno iniziato a sentir parlare in modo insistente di sostenibilità, ma in termini molto diversi dal passato. Non si parla più solo di “attenzione all’ambiente” o di iniziative volontarie di responsabilità sociale. Oggi si parla di rendicontazione obbligatoria, di trasparenza verso il mercato, di rischi ESG che impattano sul valore dell’azienda e sulla sua capacità di ottenere credito.

Questo cambio di prospettiva è guidato dalla CSRD, la Corporate Sustainability Reporting Directive dell’Unione Europea, che impone alle imprese di pubblicare un report di sostenibilità dettagliato e verificabile, con informazioni ambientali, sociali e di governance (ESG) strutturate secondo standard tecnici europei chiamati ESRS – European Sustainability Reporting Standards.

Per molte realtà italiane questo significa una cosa semplice e scomoda: il “bilancio di sostenibilità” non è più un documento di immagine, ma un documento regolamentato, obbligatorio e soggetto a controllo.

Ma attenzione: è anche un’opportunità. Le aziende che si muovono per tempo non solo riducono il rischio sanzioni e reputazione negativa, ma diventano più interessanti per banche, investitori, clienti pubblici e privati che stanno inserendo criteri ESG nei capitolati e nelle forniture.

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Chi deve fare rendicontazione di sostenibilità nel 2025 (e negli anni successivi)

La CSRD si applica “a ondate”, cioè in fasi successive. Questo calendario è stato poi in parte rimodulato da misure europee e nazionali (“stop the clock”) che hanno rinviato per alcune categorie l’entrata in vigore degli obblighi, pur mantenendo il principio di fondo: la trasparenza ESG non è più opzionale.

Il pacchetto di proroghe (“stop the clock”): rallentamento o occasione?

Nel corso del 2025 è stato introdotto un intervento normativo – spesso descritto come “stop the clock” – che ha posticipato per molte imprese italiane le scadenze di pubblicazione del bilancio di sostenibilità. Questo è stato recepito anche a livello nazionale con il cosiddetto “Decreto Economia”, che ha rinviato gli obblighi per le grandi imprese che non erano già soggette e per le PMI quotate.

Cosa significa in pratica? Significa che alcune aziende guadagnano tempo formale prima di dover rendere pubblico un report conforme alla CSRD. Ma non significa che possano ignorare la preparazione. Anzi.

Questo rinvio va letto così:

  • le autorità riconoscono che l’adeguamento richiede strutture interne, sistemi di raccolta dati e procedure di controllo che oggi molte imprese non hanno;
  • viene concesso più tempo per costruire questi sistemi senza andare nel panico;
  • ma l’aspettativa regolatoria e di mercato non cambia: la trasparenza ESG diventerà un requisito di accesso al credito, ai bandi e alle catene di fornitura.
 

In altre parole, il rinvio è una finestra, non un lasciapassare. Vediamo le principali scadenze ad oggi rilevanti per le imprese italiane:

1. Imprese già soggette alla vecchia Direttiva Non Finanziaria (NFRD)

Parliamo di enti di interesse pubblico come banche, assicurazioni e società quotate con più di 500 dipendenti. Queste imprese devono già rendicontare secondo le nuove regole CSRD sui dati dell’esercizio 2024 e pubblicare la rendicontazione nel 2025.

In pratica: per loro, l’obbligo è già realtà.

2. Grandi imprese non ancora soggette alla NFRD

Questa è la fascia più delicata dal punto di vista industriale italiano. Si parla delle imprese che superano almeno due di questi tre requisiti dimensionali:

  • più di 250 dipendenti,
  • ricavi netti superiori a 50 milioni di euro,
  • totale di bilancio superiore a 25 milioni di euro.
 

Per queste aziende l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità – secondo lo scenario originario – sarebbe dovuto partire con i dati 2025 e pubblicazione nel 2026. Tuttavia, in Italia è stato introdotto uno slittamento dei termini, collegato al cosiddetto “Decreto Economia” e al recepimento della direttiva UE 2025/794. Questo intervento ha sostanzialmente posticipato l’entrata in vigore degli obblighi per le grandi imprese che non erano ancora nella prima ondata, spostando in avanti la loro prima pubblicazione ufficiale del report di sostenibilità, al 2028 sui dati 2027.

Tradotto: molte grandi aziende italiane che pensavano di dover pubblicare nel 2026 potrebbero avere più margine operativo per strutturarsi, ma non per ignorare il tema.

3. PMI quotate

Le PMI quotate (tranne le micro-imprese) erano originariamente incluse dal 2026, con pubblicazione nel 2027 sui dati 2026. Anche qui però il quadro è stato rivisto: le scadenze per le PMI quotate sono state rinviate e l’obbligo per queste realtà slitta in avanti: le PMI quotate entreranno nel perimetro con i dati 2028, con prima pubblicazione nel 2029.

Questo è importante perché alleggerisce la pressione immediata sulle PMI quotate, ma manda un segnale molto chiaro al mercato: anche le imprese medio-piccole devono attrezzarsi a parlare il linguaggio ESG in modo numerico, verificabile e credibile.

4. Gruppi extra-UE con attività rilevante nell’Unione

Le società madri non UE che generano almeno 150 milioni di euro di ricavi nell’UE e hanno una filiale o una succursale significativa dovranno a loro volta pubblicare una rendicontazione di sostenibilità relativa alle attività europee.  Per questi gruppi lo stop-the-clock non ha spostato la scadenza: la prima rendicontazione resta prevista nel 2029 sui dati 2028.

Cosa chiede davvero la CSRD: non basta dire che l’azienda è “green”

La CSRD cambia radicalmente l’approccio perché non accetta dichiarazioni generiche. Chiede numeri, metriche, piani e verifiche esterne. Le imprese devono comunicare:

  • Impatti ambientali: consumi energetici, emissioni di gas serra dirette e indirette, gestione dei rifiuti, risorse idriche, uso di materie prime e circolarità.
  • Impatti sociali: salute e sicurezza dei lavoratori, condizioni contrattuali, parità di trattamento, catena di fornitura e rispetto dei diritti umani.
  • Governance: modello di gestione del rischio ESG, politiche aziendali, ruoli e responsabilità del management e del Consiglio di amministrazione.
 

Non è solo rendere pubblico cosa fa l’azienda oggi: è spiegare come l’azienda prevede di gestire i rischi ESG e di trasformarli in opportunità competitive nel medio-lungo periodo, con un linguaggio leggibile da banche, investitori, assicurazioni e stakeholder industriali. Due concetti chiave qui sono:

Doppia materialità: Le imprese devono spiegare sia come l’azienda impatta su ambiente e società, sia come i temi ambientali e sociali impattano sull’azienda (rischio fisico climatico, rischio reputazionale, rischio normativo, rischio di continuità operativa).

Questo è un cambio culturale enorme, perché porta la sostenibilità dentro l’analisi del rischio d’impresa e quindi dentro la strategia industriale, non più solo nel marketing.

Filiera e catena di fornitura: La CSRD spinge le imprese a raccogliere dati anche lungo la catena del valore, cioè dai fornitori. Questo ha un effetto immediato sulle PMI subfornitrici: anche se oggi non sono formalmente obbligate a pubblicare un bilancio di sostenibilità, iniziano a ricevere richieste dai clienti “grandi” per fornire dati ambientali, CO₂, gestione rifiuti, sicurezza sul lavoro e policy etiche.

Tradotto: “non sono obbligato quindi non mi riguarda” non è più vero. Riguarda tutti quelli che lavorano con chi è obbligato.

Perché questo riguarda anche le aziende che “non emettono CO₂” (o credono di non emetterla)

Una resistenza tipica è: “noi non siamo un’acciaieria, quindi cosa dobbiamo rendicontare?”. Questo ragionamento è superato.

La CSRD (e in generale il mondo ESG) guarda a tutta l’azienda, non solo alle emissioni dirette. Vuole informazioni su:

  • efficienza energetica degli impianti e degli uffici;
  • sicurezza sul lavoro e prevenzione degli infortuni (che rientra nella “S” di ESG);
  • gestione dei rifiuti e tracciabilità (che rientra nella “E” e nella compliance ambientale, ad esempio con obblighi come RENTRI e gestione digitale dei formulari);
  • governance dei processi, cioè responsabilità interna, ruoli, procedure e verifiche (la “G”).
 

Questo è un punto di contatto diretto con l’attività di una società di consulenza ambientale: ambiente, rifiuti, registrazioni, autorizzazioni, formazione sicurezza e procedure interne sono già oggi elementi ESG. L’azienda non può più trattarli come “carte da tenere a posto in caso di controllo”, perché diventano indicatori che entrano in un documento ufficiale destinato all’esterno.

Perché conviene arrivare pronti: vantaggi competitivi interni ed esterni

Adeguarsi alla CSRD e impostare una rendicontazione ESG strutturata porta vantaggi che vanno oltre l’evitare una sanzione.

  1. Accesso alla finanza: Gli istituti di credito stanno integrando parametri ESG nelle valutazioni del rischio. Migliore è la tua capacità di misurare e gestire gli impatti ambientali e sociali, più solida appare l’azienda dal punto di vista del rischio operativo e reputazionale. Questo può incidere sul costo del credito e sulla possibilità di ottenere finanziamenti per investimenti industriali.
  2. Continuità della fornitura: I grandi clienti (soprattutto multinazionali e grandi gruppi industriali) stanno chiedendo ai fornitori informazioni strutturate su emissioni, sicurezza, tracciabilità dei rifiuti, gestione delle sostanze pericolose. Non essere in grado di fornire questi dati significa rischiare di uscire dalla supply chain.
  3. Efficienza interna: Il percorso verso la rendicontazione spinge l’azienda a mettere ordine nei processi ambientali e HSE: registri rifiuti, autorizzazioni, monitoraggi interni, procedure di sicurezza sui luoghi di lavoro in condizioni critiche (es. caldo estremo, microclima, stress termico), che sono ormai riconosciuti anche come rischi da governare e documentare in ottica ESG.
  4. Difesa reputazionale: Nei prossimi anni, quando emergeranno crisi ambientali o sociali legate a determinate filiere, le imprese che avranno già una rendicontazione solida potranno dimostrare in modo verificabile cosa fanno e come gestiscono il rischio. Chi non ce l’ha, apparirà opaco.
 

Cosa deve fare concretamente un’azienda oggi (anche se è “rinviata”)

Il punto critico è questo: prepararsi alla CSRD non significa “scrivere un documento”. Significa costruire un sistema.

Queste sono le attività che le imprese dovrebbero avviare subito:

1. Gap analysis ESG

È la fotografia di dove sei rispetto a dove dovresti essere. Si analizzano gli attuali processi ambientali, di sicurezza, di governance e di gestione del rischio, e si confrontano con i requisiti previsti dagli ESRS europei. Obiettivo: capire cosa manca per poter poi rendicontare in modo conforme.

2. Mappatura dei dati e delle responsabilità

Per pubblicare un report di sostenibilità servono dati affidabili e tracciabili. Questo è spesso il vero collo di bottiglia. Chi misura i consumi energetici? Chi tiene i registri rifiuti? Chi gestisce il DVR e la sicurezza sul lavoro? Chi monitora i fornitori? Se le informazioni sono disperse in Excel personali, la rendicontazione diventa impossibile (e rischiosa da dichiarare).

3. Definizione della “doppia materialità”

L’azienda deve chiarire quali aspetti ESG sono davvero rilevanti per il proprio settore e la propria esposizione al rischio. Questo passaggio è obbligatorio in ottica CSRD, e non è solo formale: è la base per decidere cosa misurare e cosa comunicare.

4. Aggiornamento delle procedure ambientali e HSE

Qui entra in gioco l’operatività classica della consulenza ambientale: gestione rifiuti, controlli autorizzativi, tracciabilità, rispetto delle norme ambientali e di sicurezza. Ogni non conformità ambientale è anche un punto debole nel report di sostenibilità: non è più un problema “da chiudere in audit”, ma un tema pubblico.

5. Formazione interna

La sostenibilità, con la CSRD, diventa responsabilità del management. Il Consiglio di amministrazione deve essere in grado di leggere i rischi ESG e includerli nella strategia aziendale. Questo è un cambio di governance che in molte aziende italiane oggi non è ancora avvenuto.

In questo senso il rinvio normativo è un vantaggio: permette di impostare seriamente tutto questo prima che il report diventi obbligatorio e venga certificato da un revisore esterno.

Non è solo compliance: sta cambiando il modo in cui le imprese raccontano (e governano) se stesse

La CSRD non è un esercizio di comunicazione. È una norma che chiede alle imprese di rendere pubblica, in modo verificabile, la qualità della propria gestione ambientale, sociale e organizzativa.

Nel 2025 il quadro temporale si è fatto più elastico per alcune categorie di imprese italiane grazie allo “stop the clock” e al rinvio previsto dal Decreto Economia, soprattutto per le grandi imprese non ancora soggette e per le PMI quotate.

Questo però non significa che il tema sia rinviato. Significa che adesso è il momento per prepararsi bene, con metodo.

Chi utilizza questa finestra per organizzare dati, responsabilità, procedure ambientali e sicurezza lavoro in chiave ESG arriverà pronto, credibile e più bancabile. Chi aspetta l’ultimo secondo, no.

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